Stephanie Morin

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BIOGRAFIA

Stephanie Morin è nata a Vancouver nel 1963. Ha passato la sua infanzia a Lisbona prima di ritornare a Vancouver dove ha frequentato la “Peter Aspel School of Art”. Si è laureata in letteratura inglese ed americana presso l’Università della Columbia Britannica. Si è trasferita in Italia nel 1987 e nel 1990 ha conseguito il Diploma d’Illustrazione Editoriale presso l’Istituto Europeo di Design a Roma. Nel 1997, Stephanie Morin è diventata cittadina Italiana. Vive e lavora in Italia nel paese di Bomarzo in provincia di Viterbo.  Esibisce suo lavoro in Italia e all’estero.

CRITICA

«… Interminato spazio e sovrumani silenzi e profondissima quiete io nel pensier mi fingo..». Non so se Stephanie Morin ami Leopardi e condivida la cupa malinconia con cui misurava il trascorrere del tempo, il doloroso non senso della vita. Ma nei suoi quadri, da anni a questa parte, vibra lo stesso stupore, la stessa voglia di attraversare e sondare il mistero dell’infinito nascosto dietro barriere, convenzioni e abitudini, che come la siepe del poeta sembrano chiudere lo sguardo. Una sfida che si rinnova in quest’ultima mostra, Frammenti. Una dozzina di opere senza titolo che declinano in successive varianti come un muro da valicare la dominanza di un solo colore, rosso, celeste, nero, marrone. Sfondi quasi monocromi che fissano lo stadio di partenza, la placenta dentro cui devi immergerti per stabilire o trovare una prima sintonia emotiva, prepararti nella quiete o nell’onda di quella tonalità prevalente al viaggio. Impossibile a quel punto fermarsi, perchè subito la pittura di Stephanie Morin ti trascina aldilà, aprendoti con segni marcati o tracce più esili che costellano la tela una ragnatela di soglie da superare. Ogni quadro come una finestra che si affaccia su un panorama di altre finestre, varchi, spiragli, ombre. Troppo forte la suggestione per non restare intrappolati e trovarsi così a galleggiare in quello spazio artificioso e incantato. Mai davvero astratto, nonostante la rinuncia a rimandi figurativi, perchè fatto di sensazioni che ora ti immergono in un magma rovente, ora si liquefanno in una miscela più eterea,ora ti specchiano nella consistenza ghiaiosa di un grumo di terra e di quarzi. E non sai se questi spicchi d’infinito racchiudano il paradiso, il purgatorio o l’inferno.

DANILO MAESTOSI

Da qualche tempo osservo il percorso artistico di Stephanie Morin.  Morin intende attenersi al linguaggio e alle materie proprie della tradizione contemporanea.
All’esterno delle avanguardie e dell’effervescente, continua diffusione delle idée sull’arte, essa cerca la sua espressione poetica all’interno dei limiti consueti della pittura classica. sulla superficie a due dimensioni del quadro. Solo lì essa dispone e contribuisce con il colore e con la sua materia, quelli effetti di luce e di spazio che I pittori inseguono da oltre cent’anni per indurre emozioni e poesia nell’animo disorientato dell’umana esistenza. E devo dire che la leggerezza della sua mano e la sua sensibilità riescono a creare immagini sorprendenti ed efficacie anche quando la sua espressione lirica esce dall’intimismo e si avventura nelle grandi dimensioni.
Si tratta di una pittura che parte dai maestri come Monete più vicino ai nostri tempi, Fautrier, Dubuffet, Tobey, Burri e Tapies.

PIERO DORAZIO

BIORGAPHY

Stephanie Morin was born in Vancouver in 1963. The first part of her childhood was spent in Lisbon. Subsequently, her family moved back to Vancouver where she attended the Peter Aspel School of Art and later graduated in English and American Literature from the University of British Columbia. In 1987 she moved to Italy where she obtained a diploma in editorial illustration from the European Institute of Design in Rome. In 1998 she became an Italian citizen. Stephanie Morin lives and works in Bomarzo (province of Viterbo) exhibiting her work in Italy and abroad.

CRITIQUE

«… Boundless space and superhuman silences and deepest calm I in my mind contrive …». I don’t know whether Stephanie Morin likes Leopardi or shares the sombre melancholy with which he measured the passing of time, the painful senselessness of life. Be it as it may, her paintings – known in Italy for many years – vibrate with the same awe, with the same urge to traverse and to fathom the mystery of the infinite hidden beyond the barriers, conventions and habits that like the poet’s metaphysical wall seem to obstruct the view. The challenge is once more taken up in this latest show, “Fragments”. It contains a dozen un-named pieces, each a declension in a range of variations – like a wall one must climb over – of just one dominant colour at a time: red, blue, black, brown. The almost monochrome backgrounds set up the point of departure, the placenta to immerse in and to establish or to find the initial emotive accord, to reach readiness in either the calm or the wave of a tonality dominating that particular voyage. From that point on it’s no longer possible to stop: whether with bold strokes or with subtler lines strewn over the canvases, Morin’s painting instantly draws you into the beyond, opening for you a web of thresholds to cross. Her every painting is like a window that gives onto a panorama of other windows, gaps, fissures, shadows. The fascination is too strong to resist the entrapment, thus finding oneself adrift in that cunning and enchanted space. The refusal of any figurative references notwithstanding, the works are never really abstract either, for they are made of sensations now plunging you into burning magma, now melting down to more ethereal flow, now reflecting the viewer in the gravelly cumulus of a lump of earth and quartzite. And you don’t know whether those slices of the infinite contain Purgatory, Heaven, or Hell.

DANILO MAESTOSI

For a long time I have followed the work and research of Stephanie Morin who intends to adhere to the language and material appropriate to the contemporary tradition.
Aloof from vanguard movements and from the ferment of the ongoing proliferation of ideas about art, she elaborates her poetic expression within the regular framework of classical painting, upon the two-dimensional surface of the canvas. Only thus does she set out and impart, through her masterful use of materials and colour those effects of light and space that painters have pursued for over a hundred years imbuing the confused human soul with poetry and emotion. I am compelled to state that her sensitivity and the lightness of her touch create surprising and efficient images even when her lyrical expression departs from the intimate and ventures into universal dimensions.
This work builds upon the heritage of such masters as Monet and, later, Fautrier, Dubuffet, Tobey, Burri and Tapies.

PIERO DORAZIO